sabato 26 giugno 2010



Sono arrivato a Byron Bay, New South Wales (quasi Gold Coast), in mattinata. L'ostello e' poco fuori dal centro abitato: nella “giungla”! Si chiama Arts Factory: il che gia' dice tutto! Ritrovo di Hippies, surfisti e “people looking for themselves”... Figo! Se avessi 20 anni... ne ho 30 e l'umidita' si fa sentire nei reni!... A parte gli scherzi ho cercato subito una sistemazione piu' comoda, perche' nel momento in cui mi sono affacciato sulla spiaggia di Tallow Beach nel meraviglioso Arakwal National Park, ho deciso, seduta stante, di voler stabilirmi per un po' di tempo qui e dormire sui chiodi per qualche mese non mi e' sembrato davvero il caso. Se l'ostello, infatti, e' la migliore sistemazione per qualche notte; per lunghi periodi e' sicuramente consigliabile trovare una camera o un posto letto da qualche parte. Quando mi sono affacciato sulla Tallow Beach, dopo aver passeggiato immerso in una vegetazione rigogliosa, mi e' apparso un paesaggio stupendo: una spiaggia infinita, neanche l'ombra di un'abitazione sul litorale. Da una parte il mare dall'altra la macchia, in mezzo una spiaggia che mi e' subito apparsa come una “terra di nessuno”: attaccata da un lato dal mare con delle onde che non avevo mai visto in vita mia e dall'altro dalla natura selvaggia della vegetazione. Questa lingua “beige” in mezzo, indorata dai riflessi del sole sulla sabbia bagnata e interrotta qua e la' da un tronco d'albero inanimato, che sembrano essere un grossi lucertoloni, e da numerosissime conchiglie e gusci di molluschi naufragati e ormai senza frutto; e' aggredita dalle onde tanto amate da tutti gli amanti del surf e d'altra parte dalle radici di arbusti e piante conficcate nel suolo. Quasi come se ci fosse un piano predefinito da parte della natura di conquistare quella lingua infuocata di sabbia che sembra quasi non appartenerle. Un piano che prevede l'attacco dall'alto da parte delle onde che si vanno a infrangere fragorosamente creando un frastuono che, se vi ritrovate soli in un posto del genere, vi assicuro e' assordante e si ci mette un po' per abituarsi; e la conquista da terra da parte delle radici che si vanno a conficcare come spilli nel terreno cercando di ferirlo a morte. Ma tale striscia sembra non avvertire ai suoi confini gli attacchi in corso e nel suo mezzo continua ad ospitare le esistenze di diversi organismi: piccoli granchietti che spuntano dalla sabbia attraverso perfetti e regolari cerchi e veloci percorrono brevi distanze per poi imbucarsi di nuovo sotto il terreno bagnato. I gabbiani, numerosi, si accomodano spesso sulla battigia a contemplare l'orizzonte, dopo lunghi voli, puntando l'acqua per intuire quelle increspature tra le onde che gli potrebbero portare piu' facilmente cibo. Camminando distrattamente facendo foto al promontorio di Cape Byron che mi avviluppa sulla sinistra, con il suo faro che si staglia alto e bianco posto dall'uomo per salvare imbarcazioni in preda a marosi; mi imbatto tre volte in pelli squamose e abbandonate di serpenti. Probabilmente scelgono la spiaggia aperta, nelle prime ore del mattino, quando non li vede nessuno, per denudarsi e disfarsi della loro vecchia e raggrinzita pellaccia, per poi strisciare fino all'interno e ripararsi dai raggi cocenti del sole australe. Percorro minimo 15-20 km e, finalmente, raggiungo il capo opposto che divide Byron Bay da Lennox Head e Ballina. Decido di passare dall'interno per vedere che cosa ha combinato l'uomo e mi ritrovo in una piccola comunita' periferica: Suffolk Park. Una serie di villette a schiera a 400-500 metri dal mare, diviso da esso da alberi e cespugli vari che nascondono tutto alla vista; un villaggio di bungalow destinato ai soli residenti o, cosi', almeno appare da numerose scritte per terra: “Suffolk Park is not for turists!”, “Vacancy just for community” e cosi' via... Rientrando all'interno trovo la strada principale che collega Suffolk Park a Byron Bay da una parte e a Lennox Head dall'altra, sulla mia destra un nugolo di case e attivita' commerciali: una Despar, il Park Motel, che assicura di avere ottima birra e di trasmettere qualsiasi partita di qualsiasi sport, un take away thai e una pizzeria al taglio. Mi avvio sulla destra volendo ripercorrere i miei passi, ma dalla strada: per cercare di familiarizzare con l'interno. Byron Bay, in realta', non presenta un vero e proprio centro cittadino con tanto di piazza, chiesa, casa comunale, etc...; ma ha piu' che altro l'aspetto disordinato di un villaggio di pescatori nato essenzialmente per dare riparo a questi ultimi. L'unica differenza e' che qui i pescatori, in realta', sono surfisti hippies che negli anni '60 hanno colonizzato il posto non curandosi di certo delle abitazioni e della conformazione urbanistica che si andava creando attorno a loro. I surfisti si erano fermati perche' ci sono onde gigantesche e perche' il posto e' fantastico ovviamente. Dopo di loro, pero', e' arrivato il turismo e anche una ridente speculazione edilizia che ha voluto per forza di cose dare asilo e un tetto, sotto cui fumare i loro Joints, a 'sti poveri Hippies. Cosi' a Byron Bay si possono ammirare in fila una serie interminabile di villette unifamiliari con il loro piccolo “backyard” in perfetto “english style”, costruite solitamente su due piani, senza fondamenta, con materiali molto leggeri e colori tenui e con le loro staccionate a delimitare a dovere la proprieta' privata. Questa fila si estende per svariati km con brevi interruzioni e poco fuori il centro cittadino si iniziano ad incontrare i primi resorts, che pero' non hanno le sembianze di mostri di cemento, ma si confondono con la natura e utilizzano quasi sempre materiali eco-compatibili. Camminando lungo la strada ho visto un cartello su una staccionata che recitava: “rent a room” e il numero di telefono. Ho chiamato subito. Una voce femminile posata e disponibile mi risponde dicendomi che se voglio posso percorrere la staccionata per pochi metri ed incontrarla. Non me lo faccio ripetere due volte ed eccomi nel soggiorno di Cheri: una simpatica e sorridente australiana che mi accoglie benevolmente nella sua casa. Parliamo un po', mi fa vedere la camera, dopodiche' ci salutiamo e le dico che le avrei fatto sapere il mattino seguente, sapendo gia' che l'avrei fatto sicuramente. Riesco a rientrare in tempo per gustarmi il tramonto a Main Beach: la spiaggia principale di Byron Bay su cui si estende un delizioso lungomare fatto di prati e alberi su cui riposano e si rilassano i passanti. Lo spettacolo e' fantastico: tra gli ultimi surfisti che aspettano all'imbrunire le ultime onde seduti sulle loro tavole, vedo passare un branco di delfini che ritmicamente sollevano le loro pinne emergendo dall'acqua e destando stupore e meraviglia nel pubblico di osservatori sul belvedere. Seguiamo tutti con lo sguardo la scia dei delfini che scorrono veloci affianco ai surfisti non curandosi di loro, ma e' uno di quest'ultimi, invece, a curarsi dei delfini: si avvicina, cerca di accarezzarli, poi trova la pinna di uno di questi e cerca di aggrapparsi ad essa. Con un sospiro di sollievo da parte di tutti i presenti il delfino si immerge e scompare alla nostra e alla sua vista. Il surfista si arrende e resta a guardare anche lui, come noi, incantato il branco che il linea ormai con l'orizzonte si perde alla nostra vista rimbalzando sull'acqua.

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